Quando qualche giorno fa Gianluca mi ha proposto per questa rubrica di news una riflessione sulla giornata delle donne, fra me e me ho pensato: “Ancora? Andiamo, non se ne può più di questa storia!”

È stato un pensiero di puro istinto, assolutamente non mediato dalla razionalità.

Poi mi è bastato pensarci un attimo e ho capito che stavo facendo un grave errore.

Il problema della discriminazione di genere c’è ancora, eccome se c’è.

Per fortuna meno evidente, meno sfacciata di qualche decennio fa, ma esiste ancora e si concentra soprattutto in ambito lavorativo, sia come possibilità di accesso ai posti di maggiore responsabilità, sia come livelli retributivi.

Basta leggere i dati dei posti di lavoro persi in questo dannato ultimo anno di crisi pandemia; a farne le spese maggiori sono state proprio le donne.

Il problema esiste ancora e la parità di diritti è lungi dall’essere stata raggiunta; vale allora la pena di ripercorrere brevemente com’è nata e perché la festa delle donne.

In realtà la Festa delle donne dell’8 marzo si chiama “Giornata internazionale dei diritti della donna”, ed è stata istituita in tutta Europa nel 1977.

Ma la sua origine è americana e nasce come Woman’s Day nel lontano 1909.

La presa di coscienza dei propri diritti da parte delle donne americane nasce molto prima che in Europa e si rivela subito una battaglia molto dura, condotta con determinazione dalle sostenitrici dei diritti femminili e, spesso, con violenza dalla parte che vi si opponeva.

Anche in Italia non è stato facile arrivare all’8 marzo. Negli anni del dopoguerra il ministro Scelba, titolare del Viminale, stroncò con durezza le manifestazioni a favore dei diritti delle donne, con la scusa della turbativa dell’ordine pubblico.

Ma l’onda lunga delle sacrosante rivendicazioni femminili non poteva essere fermata e l’8 marzo è diventato una giornata di riflessione e festa anche da noi.

Ora è importante che non resti un vuoto simulacro rappresentativo senza atti concreti.

Nel 2015 l’ONU ha delineato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Diciassette grandi obiettivi da raggiungere entro il 2030 per regalare alle prossime generazioni un pianeta più vivibile, dal punto di vista ambientale, sociale, economico.

Tra gli obiettivi c’è anche la parità di genere (per la precisione è il quinto global goal) e 193 paesi membri si sono impegnati al raggiungimento di questi obiettivi. Il che non vuol dire certezza di raggiungerli, ma per lo meno è un passo reale verso un impegno concreto.

Ma ora fatemi tornare un attimo al mio pensiero iniziale. Perché mi sono detto “ancora?”. Perché credo che nella testa di quasi tutti noi uomini – anche evoluti, e se permettete mi metto fra questi – resti un sottofondo di pregiudizio. Non tanto sulle capacità femminili, assolutamente indiscutibili, quanto direi sul fatto che in fondo in fondo pensiamo che “a comandare” si debba essere ancora noi.

La strada è, quindi, ancora lunga e difficile.

Tuttavia PMC, per quel che è nelle sue possibilità, è seriamente impegnata per essere una vera gender equality company.

Qualche semplice dato:

  • Responsabili di Sede: 3 donne
  • Direttrice Operations e Risorse Umane: donna
  • posizioni di prima linea: 60% donne
  • Team Leader: 75% donne
  • turni, part time, opportunità, selezioni: nessuna differenza
  • retribuzione: esattamente la stessa, senza differenze

Questi sono i razionali – buoni – di PMC, ma poiché la parità di genere è fatta anche di relazioni e atmosfere psicologiche, nel prossimo articolo chiederemo a Cristiana Salvagno e a Gianluca Fuser di raccontarci la realtà lavorativa delle donne di PMC.

 

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